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Employee advocacy: cosa, come, quando, chi e perché

Attirare nuovi talenti, promuovere la cultura dell’azienda e i brand, coinvolgere in modo ancora più partecipativo i propri dipendenti: l’employee advocacy risponde a tutte queste esigenze.

 

 

Cosa significa Employee advocacy

 

L’espressione si riferisce alla possibilità di far intervenire i dipendenti in prima persona nella diffusione (spontanea o supportata) di contenuti collegati all’azienda, al brand o al settore di riferimento, pubblicandoli e condividendoli nei profili social personali. In pratica si sposta il passaparola dal reale al virtuale. Un dipendente convinto della bontà del proprio prodotto o servizio è un testimonial credibile, autorevole e competente.

 

 

Come impostare una strategia di Employee advocacy

 

Innanzitutto è necessario che marketing e risorse umane si parlino e condividano obiettivi, tempi e aspettative. Deve esistere una coerenza di fondo tra i messaggi che il marketing vuole divulgare e il reale clima aziendale, altrimenti il rischio è di evidenziare delle dissonanze.

Quindi è necessario pianificare dei progetti a lungo termine, che coinvolgano il top management, la comunicazione e l’HR. Più il progetto è condiviso maggiore sarà l’adesione spontanea all’iniziativa.
L’attivazione del piano dipenderà poi dagli obiettivi che ci si è posti, potrebbe esaurirsi con la condivisione di una policy aziendale sull’utilizzo dei social e del brand e dei corsi di formazione. Oppure si possono impostare centralmente una serie di contenuti o spunti di comunicazione e, attraverso l’uso di piattaforme, facilitare la pubblicazione sui profili personali.

Bisogna ricordare che sono progetti a lungo termine e che i dipendenti coinvolti avranno, soprattutto all’inizio, bisogno di consigli, confronti, indicazioni e feed back.

 

 

Quando lanciare un progetto di Employee advocacy

 

Non esiste un momento preciso. Certamente può essere un ottimo strumento per combattere una crisi, o per lanciare una nuova caratteristica. Ottimo il suo impiego in un momento di crescita di un’azienda, ad esempio per supportare l’ingresso di nuove risorse. L’importante è porsi un obiettivo preciso e poi monitorare i KPI che ci indicano se siamo sulla giusta strada.
Ad esempio, il mio obiettivo è aumentare il numero di curriculum vitae spontanei? Allora dovrò analizzare il numero dei post condivisi e dovrò poter tracciare i cv ricevuti da quel canale. Se l’obiettivo è aumentare i prospect, sarà indispensabile monitorare i social lead generati, prima in generale e poi suddivisi per canale e singolo dipendente.

 

 

Chi coinvolgere in un progetto di Employee advocacy

 

Molto dipende dal grado di competenza nella gestione dei canali social dei dipendenti. Bisogna trovare la giusta alchimia tra dipendenti che sappiano già usare i social, meglio se hanno già fan, follower attivi perché la leva sarà più immediata.
Tuttavia è fondamentale individuare con la funzione HR le motivazioni che spingono un dipendente a partecipare ad un progetto simile. Non è detto che le figure più junior siano le migliori. Creare un gruppo piccolo che nel tempo cresce e si consolida è sempre un aspetto positivo.

 

 

Perché l’Employee advocacy

 

La risposta potrebbe essere diversa in base all’interlocutore. Se lo chiediamo al direttore marketing risponderà che il motivo principale è la creazione di nuovi lead, è l’evoluzione del passaparola. Se lo chiediamo al direttore della comunicazione troverà la principale motivazione nella possibilità di ottenere earned media, ovvero guadagnare visibilità gratuitamente, con un importante tocco umano. Se risponde il direttore del personale condividerà la possibilità di veicolare i valori aziendali e di motivare i dipendenti.

 

 

Sono già moltissime le realtà che hanno avviato progetti di Employee Advocacy, F2A è in grado di supportare sia la Direzione del Personale che la Direzione della Comunicazione in questi progetti.

 

 

 

 

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