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HR Magazine n. 7 – Ottobre 2018

MLPS: Reintrodotta la cd. CIGS per cessazione

(MLPS, Circolare n. 15 del 04 ottobre 2018; Art. 44, d.l. 28 settembre 2018, n. 109)

 

MLPS: Reintrodotta la cd. CIGS per cessazione

(MLPS, Circolare n. 15 del 04 ottobre 2018; Art. 44, d.l. 28 settembre 2018, n. 109)

 Novità normative

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con la Circolare n. 15 del 04 ottobre 2018, ha fornito chiarimenti in merito alla reintroduzione della CIGS per cessazione aziendale, così come previsto dall’art. 44, d.l. 28 settembre 2018, n. 109.

In particolare, la disciplina normativa – in vigore dal 29 settembre 2018 e per gli anni 2019 e 2020 – prevede la possibilità di accesso al trattamento di integrazione salariale straordinaria (nel rispetto delle condizioni indicate dalla normativa di riferimento) in favore di quelle imprese, anche in procedura concorsuale, che abbiano cessato la propria attività produttiva senza che si siano già concluse le procedure per il licenziamento di tutti i lavoratori, o che ancora siano in fase di cessazione della predetta attività.

La norma precisa che il trattamento di integrazione salariale straordinaria potrà essere concesso in deroga agli artt. 4 e 22, d.lgs. n. 148/2015 che disciplinano rispettivamente la durata massima complessiva di 24 mesi (30 per le imprese dell’edilizia e affini) in un quinquennio mobile per ciascuna unità produttiva, prevista, in generale, per i trattamenti di integrazione salariale, e le singole durate massime contemplate, nello specifico, per ciascuna delle causali di intervento straordinario di integrazione salariale.

Secondo quanto chiarito dal Ministero, dunque, il trattamento di integrazione salariale disciplinato dal citato decreto-legge è da intendersi come una specifica ipotesi di crisi aziendale. Al fine di poter accedere al trattamento di CIGS, è necessario che si ravvisino congiuntamente le seguenti condizioni indicate all’art. 2 del decreto interministeriale n. 95075 del 25 marzo 2017.

Pertanto, può accedere al trattamento di CIGS in favore dei propri dipendenti l’impresa che abbia cessato, in tutto o in parte, l’attività produttiva o assuma la decisione di cessarla, eventualmente nel corso dell’intervento di integrazione salariale di cui all’art. 21, d.lgs. n. 148/2015 a seguito dell’aggravarsi delle iniziali difficoltà, qualora sussistano le concrete prospettive di cessione dell’attività medesima con il riassorbimento del personale ai sensi dell’art. 3 del predetto decreto ministeriale o si prospettino piani di reindustrializzazione, anche presentati dalla medesima azienda in cessazione.

Il piano di cessione – sostenuto dalla procedura di cui all’art. 2112 c.c., eventualmente con le deroghe di cui all’art. 47, legge 29 dicembre 1990, n. 428 – deve essere articolato in modo tale che sia garantita il più possibile la salvaguardia dei livelli occupazionali.

Determinata la cessazione di attività e individuate le prospettive di cessione, l’impresa deve stipulare uno specifico accordo con le parti sociali presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, al quale possono partecipare anche il Ministero dello Sviluppo Economico e la Regione interessata.

Nell’accordo il MISE può illustrare – tra le altre condizioni – come il piano delle sospensioni dei lavoratori sia motivatamente ricollegabile nei tempi e nei modi alla prospettata cessione di attività. Nella medesima sede va presentato un articolato e dettagliato piano per il riassorbimento del personale sospeso.

Nelle ipotesi in cui la richiesta di accesso al trattamento di CIGS è collegata alla prospettiva di reindustrializzazione del sito produttivo, il concreto piano di interventi può essere presentato dall’impresa richiedente ovvero dall’impresa terza cessionaria ovvero dal Ministero dello Sviluppo Economico. Anche in alternativa ai processi sopra descritti, il trattamento di CIGS può essere richiesto quale sostegno al reddito dei lavoratori in esubero coinvolti in specifici percorsi di politica attiva del lavoro presentati dalla Regione interessata o dalle Regioni nei cui territori sono dislocate le unità produttive in cessazione. In tale ipotesi, è richiesta la condivisione dell’accordo da parte della/e Regione/i.

Verificati i requisiti di accesso alle sopra descritte fattispecie di accesso al trattamento di CIGS, per il perfezionamento dell’accordo governativo stesso e per la conseguente autorizzazione al trattamento di sostegno al reddito, è necessaria la verifica della sostenibilità finanziaria dell’intervento programmato, stante le risorse finanziarie contingentate.

 

 

Agenzia delle Entrate: Agevolazione fiscale lavoratori “impatriati”

(AdE, Risposta ad Interpello n. 32 dell’11 ottobre 2018; Art. 16, comma 2, d.lgs. n. 147/2015)

L’Agenzia delle Entrate, con Risposta ad Interpello n. 32 dell’11 ottobre 2018, è intervenuta fornendo chiarimenti in merito all’interpretazione dell’art. 16, comma 2, d.lgs. n. 147/2015 che disciplina il regime fiscale agevolato per i cd. “lavoratori impatriati”.

In particolare, nel caso di specie era stato richiesto all’Agenzia se un cittadino italiano, in possesso del titolo di laurea, iscritto all’AIRE nel periodo di svolgimento dell’attività all’estero, che nel giugno 2018 è rientrato in Italia, assunto con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, potesse beneficiare del predetto regime agevolato.

L’Agenzia delle Entrate, ribadendo quanto già espresso con Risoluzione n. 51/E del 2018, ricorda con l’occasione come l’art. 16, d.lgs. n. 147/2015 abbia introdotto il cd. “regime speciale per lavoratori impatriati” al dichiarato intento di incentivare il trasferimento in Italia di lavoratori con alte qualificazioni e specializzazioni e favorire lo sviluppo tecnologico, scientifico e culturale del nostro paese.

Verificandosi dunque i requisiti e le condizioni previsti, alternativamente, dal comma 1 o dal comma 2 dell’art. 16, la disposizione prevede che i redditi di lavoro dipendente e di lavoro autonomo prodotti in Italia concorrono alla formazione del reddito complessivo nella misura del 50 per cento.

Trattasi di un’agevolazione temporanea, applicabile per un quinquennio a decorrere dal periodo di imposta in cui il lavoratore trasferisce la residenza fiscale in Italia ai sensi dell’art. 2 TUIR e per i quattro periodi di imposta successivi.

In particolare, specifica l’Agenzia, l’art. 16, comma 2, d.lgs. n. 147/2015, prevede che il criterio di determinazione del reddito si applichi anche ai soggetti di cui all’art. 2, comma 1, legge 30 dicembre 2010, n. 238, le cui categorie sono state individuate con il Decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze del 26 maggio 2016, attuativo della disposizione in esame.

L’articolo 1, comma 2, del citato decreto attuativo prevede che siano destinatari del beneficio fiscale in esame i cittadini dell’Unione europea:

  • In possesso di un titolo di laurea e hanno svolto continuativamente un’attività di lavoro dipendente, di lavoro autonomo o di impresa fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più;
  • Che abbiano svolto continuativamente un’attività di studio fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, conseguendo un titolo di laurea o una specializzazione post lauream.

Per accedere al regime speciale per i lavoratori impatriati, la norma istitutiva del regime fiscale agevolato presuppone, inoltre, che il soggetto non sia stato residente in Italia per un periodo minimo precedente all’impatrio. A tal fine, osserva l’Agenzia che l’art. 16, d.lgs. n. 147/2015 non indica espressamente un periodo minimo di residenza estera, come, invece, previsto per i soggetti di cui al comma 1 del medesimo art. 16 (permanenza all’estero per i cinque periodi di imposta precedenti al trasferimento in Italia).

A tale proposito, già con Risoluzione n. 51/E del 7 luglio 2018, la stessa Agenzia aveva precisato che «considerato, tuttavia, che il comma 2 prevede un periodo minimo di lavoro all’estero di due anni, la scrivente ritiene che, per tali soggetti, la residenza all’estero per almeno due periodi d’imposta costituisca il periodo minimo sufficiente ad integrare il requisito della non residenza nel territorio dello Stato e a consentire, pertanto, l’accesso al regime agevolativo».

Detti soggetti possono dunque accedere all’agevolazione a condizione che trasferiscano la residenza in Italia ai sensi dell’art. 2 TUIR, e si impegnino a permanervi per almeno due anni.

 

 

INPS: Iscrizione alla gestione separata INPS di lavoratori che svolgono attività in più Stati UE

(INPS, Circolare n. 102 del 16 ottobre 2018; Art. 2, comma 26, legge n. 335/1995)

 

L’INPS, con Circolare n. 102 del 16 ottobre 2018, è intervenuta a fornire alcuni chiarimenti sugli obblighi di iscrizione alla Gestione separata per i soggetti non residenti in Italia che svolgano l’attività lavorativa in più Stati UE.

Occorre preliminarmente considerare che, poiché nessuna norma comunitaria specifica è applicabile direttamente alle categorie di lavoratori iscritti alla Gestione separata di cui all’art. 2, comma 26, legge n. 335/1995, l’INPS ribadisce il principio enunciato dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee nella sentenza n. 221/1995 con cui la Suprema Corte ha chiarito che «la natura dell’attività esercitata in ciascuno Stato deve essere valutata in funzione delle disposizioni previdenziali dello Stato membro nel cui territorio l’attività è esercitata e non già in funzione della nozione che ne viene data in base alle disposizioni giuslavoristiche».

Ciò premesso, alla luce anche delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 81/2015, a decorrere dal 1° gennaio 2016, al fine della determinazione della legislazione applicabile in base alla normative comunitaria, con riferimento alle figure iscritte alla Gestione separata, sono assimilati, dal punto di vista previdenziale, ai lavoratori dipendenti i soggetti titolari dei seguenti tipi di rapporto:

  • Dottorato di ricerca, assegno, borsa di studio erogata da MUIR;
  • Medico in formazione specialistica (cfr. la Circolare n. 37/2007);
  • Collaborazione coordinata e continuativa le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente sia nei tempi che nel luogo di lavoro (etero organizzate).

Diversamente, sono inoltre assimilati, dal punto di vista previdenziale, ai lavoratori autonomi i soggetti titolari dei seguenti tipi di rapporto:

  • Amministratore, sindaco, revisore di società, associazioni e altri enti con o senza personalità giuridica, liquidatore di società;
  • Collaboratore di giornale, riviste, enciclopedia e simili;
  • Partecipante a collegi e commissioni;
  • Venditore “porta a porta”;
  • Rapporto occasionale autonomo (di cui alla legge n. 326/2003),
  • Collaborazione coordinata e continuativa nei casi in cui il rapporto non è etero organizzato;
  • Tutti i liberi professionisti per i quali non è prevista alcuna Cassa previdenziale obbligatoria.

Stante la classificazione predetta, qualora soggetti non residenti in Italia svolgano l’attività lavorativa in più Stati UE e per detta attività lavorativa sarebbe prevista l’iscrizione alla Gestione Separata secondo la normativa Italiana, l’INPS conferma l’applicazione dell’articolo 13, par. 3, Regolamento CE n. 883/2004, che prevede l’assoggettamento del lavoratore alla legislazione dello Stato dove è esercitata l’attività lavorativa (alla pari di un lavoratore subordinato).

Infine, per tutti i casi antecedenti al 1° maggio 2010 e per i quali sia già stata determinata la legislazione da applicare la nuova regolamentazione non produce effetti per un periodo Massimo di dieci anni (30 Aprile 2020), dovendosi applicare il previgente regime regolamentare – di cui al Regolamento CEE n. 1408/71 – che stabiliva, nel caso di esercizio simultaneo di attività subordinata e autonoma nel territorio di più Stati membri, l’assoggettamento alla legislazione dello Stato nel quale svolge l’attività di lavoro subordinato.

 

 

INPS: Chiarimenti sulle modalità operative per la fruizione del beneficio della decontribuzione dei premi di risultato.

(INPS, Circolare n. 104 del 18 ottobre 2018; Art. 55, decreto-legge n. 50/2017)

 

Con Circolare n. 104 del 18 ottobre 2018, l’INPS è intervenuta ad illustrare le modalità operative di fruizione della riduzione contributiva prevista dall’art. 55, d.l. 24 aprile 2017, n. 50 (conv. con modificazioni dalla legge 21 giugno 2017, n. 96) per i cd. premi di produttività erogati nel settore privato.

Come noto, l’art. 1, commi 181-191, legge 28 dicembre 2015, n. 208 (cd. Legge di stabilità 2016) ha infatti introdotto, a decorrere dall’anno 2016, un sistema di tassazione agevolata (riservata al settore privato) consistente nell’applicazione di un’imposta sostitutiva dell’IRPEF (e delle relative addizionali regionali e comunali) pari al 10% per i cd. premi di produttività (le cui modalità applicative sono state disciplinate dal Decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze del 25 marzo 2016, ed ulteriormente chiarite con Circolari n. 28/E del 15 giugno 2016 e n. 5/E del 29 marzo 2018).

Si ricorda che l’ambito oggettivo della predetta agevolazione fiscale (delineato dall’art. 1, comma 182, legge n. 208/2015), è appunto quello dei cd. premi di produttività, o premi di risultato, ovverosia di quelle somme di ammontare variabile la cui corresponsione sia legata ad incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione, misurabili e verificabili sulla base dei criteri definiti con il sopra richiamato Decreto ministeriale (art. 2, commi 1 e 2). Dal punto di vista soggettivo, invece, beneficiari della misura agevolativa sono i lavoratori che, dal 2017, siano titolari di un reddito di lavoro dipendente di importo non superiore (nell’anno precedente a quello di percezione delle somme) ad € 80.000.

Si ricorda, altresì, che per ottenere il beneficio premesso riveste carattere essenziale la disciplina di un contratto collettivo aziendale o territoriale, stipulato da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o dalle loro rappresentanze aziendali (art. 51, d.lgs. n. 81/2015) e depositato con modalità telematiche presso l’ITL competente entro 30 giorni dalla sua sottoscrizione, unitamente alla cd. dichiarazione di conformità (art. 5, D.M. 25 marzo 2016).

Tale agevolazione fiscale opera entro il limite di importo complessivo di € 3.000 annui lordi; limite elevabile, in base al disposto novellato di cui all’art. 1, comma 189, legge n. 208/2015 ad € 4.000 per le aziende che prevedano forme di cd. coinvolgimento paritetico dei lavoratori (art. 4, D.M. 25 marzo 2016).

Con la previsione di cui all’art. 55, d.l. 24 aprile 2017, n. 50 (conv. con modificazioni dalla legge 21 giugno 2017, n. 96) – pubblicata in G.U. n. 95 del 24 aprile 2017 ed immediatamente entrata in vigore – il Legislatore è intervenuto sostituendo integralmente il predetto art. 1, comma 189, legge n. 208/2015 e introducendo – alle medesime condizioni già previste per quel beneficio fiscale, ossia per le aziende interessate da un cd. coinvolgimento paritetico dei lavoratori nell’organizzazione del lavoro – da un lato, una riduzione di venti punti percentuali dell’aliquota contributiva IVS a carico del datore di lavoro, su di una quota di erogazioni premiali corrispondente ad un massimo imponibile non superiore ad € 800,00 e, dall’altro, una decontribuzione totale a favore del lavoratore. In misura corrispondente, si ricorda, viene ridotta l’aliquota contributiva di computo ai fini pensionistici.

Alla luce del descritto quadro normativo generale, ai fini di una corretta gestione operativa, pare utile anzitutto tener conto di come tale disposizione operi solo con riferimento ai premi e alle somme erogate in esecuzione di contratti aziendali o territoriali sottoscritti successivamente al 24 aprile 2017 (data di entrata in vigore del d.l. n. 50/2017).

Per i contratti stipulati anteriormente a tale data continuano invece ad applicarsi le disposizioni già vigenti alla medesima (che appunto prevedevano l’innalzamento ad € 4.000 delle somme oggetto di detassazione).

Come chiarito dall’Agenzia delle Entrate – nel dichiarato intento di favorire la diffusione di forme di coinvolgimento paritetico dei lavoratori – rientrano nella disposizione agevolativa di cd. decontribuzione anche i contratti che, sempre a partire dal 24 aprile 2017, siano stati modificati ovvero integrati al fine di prevedere proprio il coinvolgimento paritetico, a condizione che siano stati nuovamente depositati (infatti, in applicazione dell’art. 14, d.lgs. n. 151/2015, è necessario che i contratti collettivi aziendali o territoriali, al momento dell’erogazione del premio, siano già stati depositati con modalità telematiche presso ITL competente).

Una volta verificata la data di sottoscrizione dell’accordo collettivo di riferimento (ante o post 24 aprile 2017), diviene poi essenziale verificare l’effettiva previsione (e concreta attuazione) del cd. coinvolgimento paritetico dei lavoratori nell’organizzazione del lavoro.

Sul punto, si consideri come il D.M. 25 marzo 2016, pur omettendo la descrizione delle forme di coinvolgimento paritetico dei lavoratori, abbia individuato le relative modalità di realizzazione (art. 4) in via esemplificativa, alternativamente, in:

Piani che stabiliscano la costituzione di gruppi di lavoro nei quali operino responsabili aziendali e lavoratori, finalizzati al miglioramento o all’innovazione di aree produttive;

Sistemi di produzione che prevedano strutture permanenti di consultazione e monitoraggio degli obiettivi da perseguire e delle risorse a tal fine necessarie, nonché che prevedano la predisposizione di rapporti periodici che illustrino le attività svolte e i risultati raggiunti.

Come specificato, peraltro, dallo stesso Ministero, non costituiscono strumenti e modalità utili ai fini del coinvolgimento paritetico dei lavoratori meri gruppi di lavoro di semplice consultazione, addestramento o formazione.

In proposito, è stata poi la Circolare n. 28/E del 15 giugno 2016 a cercare di chiarire la portata di queste particolari “modalità” di organizzazione aziendale e svolgimento della prestazione lavorativa, precisando che – entro le direttive di finalità ed incentivo di quegli schemi organizzativi della produzione e del lavoro «orientati ad accrescere la motivazione del personale e a coinvolgerlo in modo attivo nei processi di innovazione» – per beneficiare dell’incremento dell’importo su cui applicare l’imposta sostitutiva (e dal 24 aprile 2017, per poter beneficiare della decontribuzione) è necessario che «i lavoratori intervengano, operino ed esprimano opinioni che […] siano considerate di pari livello, importanza e dignità di quelle espresse dai responsabili aziendali […] con lo scopo di favorire un impegno “dal basso” che consenta di migliorare le prestazioni produttive e la qualità del prodotto e del lavoro».

Da ultimo, la Circolare n. 5/E del 29 marzo 2018 è infine intervenuta sul punto, con maggior dettaglio, spiegando che il coinvolgimento paritetico dei lavoratori deve realizzarsi attraverso «schemi organizzativi che permettono di coinvolgere in modo diretto e attivo i lavoratori» sia «nei processi di innovazione e di miglioramento delle prestazioni aziendali, con incrementi di efficienza e di produttività», sia «nel miglioramento della qualità della vita e del lavoro».

A tal proposito, l’Agenzia delle Entrate ha richiesto che il coinvolgimento paritetico dei lavoratori venga formalizzato a livello aziendale mediante un apposito “Piano di Innovazione”, elaborato dal datore di lavoro secondo le stesse indicazioni dell’accordo collettivo di riferimento (eventualmente anche elaborato mediante «comitati paritetici aziendali»).

Il “Piano” in questione deve dunque riportare:

  • La disamina del contesto di partenza;
  • Le azioni partecipative e gli schemi organizzativi e i relativi indicatori;
  • I risultati attesi in termini di miglioramento e di innovazione;
  • Il ruolo delle rappresentanze dei lavoratori a livello aziendale (se costituite);

A titolo meramente esemplificativo, il “Piano” potrebbe indicare, tra le azioni partecipative, i cd. schemi organizzativi di innovazione partecipata (SOP) o i programmi di gestione partecipata (PGP), già ampiamente diffusi nelle prassi aziendali censite a livello nazionale e comunitario:

  • I SOP sono «forme di coinvolgimento diretto dei lavoratori nei processi di innovazione […] richiedono una comunicazione strutturata tra lavoratori e datore di lavoro […] tra i SOP si possono annoverare (1) i gruppi di progetto (gruppi volti a migliorare singole aree produttive, fasi del flusso, prodotti/servizi o sistemi tecnico organizzativi); (2) la formazione specialistica e mirata all’innovazione; (3) i sistemi di gestione dei suggerimenti dei lavoratori; (4) le campagne di comunicazione sugli scopi e lo sviluppo di progetti/programmi di innovazione (workshop, focus, seminari interattivi)»;
  • I PGP attengono «a forme di partecipazione diretta dei lavoratori per la gestione delle attività e delle conoscenze produttive nonché del tempo e del luogo di lavoro che consentono di combinare flessibilità, risultati aziendali e qualità della vita e del lavoro. Tra i PGP, esemplificativamente si annoverano (1) il lavoro in team pianificato, strutturato e formalizzato con assegnazione di obiettivi produttivi e delega parziale al team per la gestione della polivalenza e della rotazione delle mansioni; (2) i programmi di gestione della flessibilità spazio-temporale del lavoro in modo condiviso tra azienda e lavoratori (orari a menù, forme di part time a menù sincronizzate con gli orari aziendali, team di autogestione dei turni, banca delle ore, lavoro agile, etc.); (3) le comunità di pratiche volte a sviluppare conoscenze operative su base volontaria con strumentazione tecnologica e social network (la comunità deve condividere e sviluppare autonomamente sistemi di conoscenza)»;

A fini operativi, infine, la Circolare oggetto di commento precisa che l’aliquota IVS da valutare ai fini della riduzione è quella in vigore nel mese di corresponsione del premio agevolabile (secondo il principio di cassa); trattandosi – peraltro – di una riduzione dell’aliquota contributiva non avente funzione di incentivo all’assunzione, la stessa è cumulabile con altri benefici contributivi previsti dalla normativa vigente (in tal caso, l’aliquota a carico del datore di lavoro su cui operare la riduzione dei venti punti percentuali è quella individuata al lordo delle eventuali agevolazioni, che andranno ad operare sulla contribuzione residua dovuta).

L’agevolazione in parola è da considerarsi annuale e, conseguentemente, qualora un lavoratore abbia stipulato più rapporti di lavoro, il beneficio contributivo potrà essere fruito dal successivo datore di lavoro solo fino ad esaurimento del plafond di € 800,00, anche nelle ipotesi in cui il lavoratore abbia esercitato il diritto di rinuncia al regime di tassazione agevolata dei premi di risultato ai sensi dell’art. 1, comma 182, legge n. 208/2015.

 

 

INPS: Note di rettifica sospese – 30 giorni in più per gestire le domande di CIG.

(INPS, Messaggio n. 3880 del 18 ottobre 2018)

 

L’INPS ha emanato il Messaggio n. 3880 del 18 ottobre 2018, con il quale sono forniti chiarimenti circa la questione delle note di rettifica delle procedure di cassa integrazione ordinaria e straordinaria emesse nel mese di luglio 2018 e attualmente in stato “bloccato”.

L’Istituto, con l’occasione, spiega inoltre come gestire le note che derivano da anomalie nella gestione con il sistema del ticket. Per agevolare la visualizzazione di errori che potrebbero determinare differenze di importi, sono stati raddoppiati i termini per la lavorazione delle note di rettifica attualmente sospese, portandoli a 60 giorni; il termine sarà ricondotto a 30 giorni a decorrere dal 15 novembre 2018.

Sono resi disponibili anche nuovi codici riguardo le note di rettifica emesse per differenze di importi relativi ai conguagli di integrazione salariale: per ogni autorizzazione e tipologia di CIG si considerano come ore conguagliabili le ore autorizzate meno quelle già conguagliate. In presenza di autorizzazione inesistente o scaduta, la procedura considera uguale a “0” le ore conguagliate.

Il limite per la fruizione è pari al valore del tetto massimo orario di CIG annualmente determinato, moltiplicato per il numero delle ore conguagliabili. Da ultimo l’Istituto ricorda che eventuali conguagli o versamenti del contributo addizionale, derivante da autorizzazioni CIGO con ticket rientrante nella disciplina pre-Jobs Act, dovranno essere effettuati con le modalità delle denunce Uniemens già in uso.

 

 

Agenzia delle Entrate: Chiarimenti in merito alla detassazione dei premi di risultato

(AdE, Risoluzione n. 78/E del 19 ottobre 2018; Art. 1, commi 182-189, legge di stabilità 2016)

 

L’Agenzia delle Entrate, con Risoluzione n. 78 del 19 ottobre 2018, è intervenuta a fornire alcuni chiarimenti in materia di detassazione dei premi di risultato, una volta raggiunto l’obiettivo della redditività individuato nel valore dell’EBIT.

Con specifico riferimento a caso oggetto di trattazione, l’Agenzia con l’occasione rileva che l’erogazione del premio debba essere subordinata al conseguimento di un risultato incrementale rispetto al risultato registrato dall’azienda all’inizio del periodo di maturazione del premio per quel medesimo parametro, come richiesto dalla norma.

Non è, pertanto sufficiente che l’obiettivo prefissato dalla contrattazione di secondo livello sia raggiunto, dal momento che è altresì necessario che il risultato conseguito dall’azienda risulti incrementale rispetto al risultato antecedente l’inizio del periodo di maturazione del premio.

Del resto, proprio il requisito dell’incrementalità, rilevabile dal confronto tra il valore dell’obiettivo registrato all’inizio del periodo congruo e quello risultante al termine dello stesso, ostituisce una caratteristica essenziale dell’agevolazione, così come prevista dalla legge di Stabilità 2016, che differenzia la misura dalle precedenti norme agevolative, in vigore dal 2008 al 2014, che premiavano fiscalmente specifiche voci retributive a prescindere dall’incremento di produttività.

 

 

MLPS: Prime indicazioni interpretative in merito alla disciplina dei contratti a tempo determinato e della somministrazione a termine a seguito del cd. Decreto Dignità

(MLPS, Circolare n. 17 del 31 ottobre 2018; Artt. 1 ss., d.l. n. 87/2018, conv. con mod. In legge n. 96/2018)

 

Con la pubblicazione della Circolare n. 17 del 31 ottobre 2018, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – acquisito il parere dell’Ufficio legislativo espresso con nota interna del 30 ottobre 2018 – è intervenuto a fornire le prime indicazioni interpretative relative alla disciplina normativa introdotta in materia di contratto di lavoro a tempo determinato e somministrazione di lavoro dal decreto legge 12 luglio 2018, n. 87 recante «Disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese» (cd. “Decreto Dignità”), convertito con modificazioni dalla legge 09 agosto 2018, n. 96.

Numerose e di interesse le linee di indirizzo, offerte dalla Direzione Generale ministeriale con il dichiarato intento di fornire chiarimenti alla luce delle numerose richieste pervenute.

 

Contratto di lavoro subordinato a tempo determinato

In via preliminare, il Ministero interviene dunque tratteggiando i nuovi confini normativi assegnati al contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, a seguito della predetta riforma, racchiusi nelle modifiche apportate agli artt. 19 ss., d.lgs. n. 81/2015.

Appena il caso di sottolineare sul punto come, con specifico riferimento all’ipotesi delineata dall’art. 19, comma 3, d.lgs. n. 81/2015, rimanga ad oggi immutata la prevista possibilità per le parti di stipulare – una volta raggiunto il limite massimo di durata del contratto a termine (anche in ipotesi di successione) di cui al precedente comma 2 – un ulteriore contratto della durata massima di 12 mesi presso le sedi territorialmente competenti dell’Ispettorato nazionale del lavoro.

Proprio con riguardo a tale ipotesi, il Ministero si preoccupa in primo luogo di chiarire come rimangano valide le indicazioni già fornite dallo stesso con Circolare 02 maggio 2008, n. 13 in ordine alla «verifica circa la completezza e la correttezza formale del contenuto del contratto» nonché «genuinità del consenso del lavoratore alla sottoscrizione dello stesso, senza che tale intervento possa determinare effetti certificativi in ordine alla effettiva sussistenza dei presupposti giustificativi richiesti dalla legge».

Ne consegue che, da un lato, i competenti uffici dell’Ispettorato saranno chiamati a verificare che il nuovo contratto stipulato tra le parti sia dotato di ogni requisito formale individuato dalla normativa (e pertanto, anche della specificazione delle ragioni causali dettate dall’art. 19, comma 1); dall’altro, che la stessa verifica non esplicherà alcun valore certificativo sostanziale in ordine all’effettiva sussistenza dei predetti requisiti, e pertanto nemmeno dell’effettiva sussistenza nel caso concreto delle ragioni addotte a giustificazione del prolungarsi dell’esigenza di impiego a termine oltre il termine individuato dall’art. 19, comma 2, d.lgs. n. 81/2015.

Con specifico riguardo ai rinvii alla contrattazione collettiva operati dalla normativa di riferimento di cui agli artt. 19 ss., d.lgs. n. 81/2015, osserva poi il Ministero come la riforma in parola non abbia modificato le relative disposizioni, dovendosi pertanto ritenere che i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (art. 51, d.lgs. n. 81/2015) possano continuare ad ammettere una durata diversa – anche se superiore – rispetto al nuovo limite massimo dei 24 mesi dettato dall’art. 19, comma 2, mantenendo pertanto invariata la loro validità fino a naturale scadenza dell’accordo collettivo di riferimento.

Precisa sul punto il Ministero come le previsioni contenute nei contratti collettivi stipulati prima del 14 luglio 2018, che facendo riferimento al previgente quadro normativo avevano previsto una durata massima dei contratti a termine pari o superiore a 36 mesi, mantengono dunque la loro validità fino alla loro naturale scadenza.

Si ricorda poi come l’impianto normativo tracciato dal decreto legge n. 87/2018 introducendo la disciplina delle causali di cui al nuovo comma 1, art. 19, non ha invece attribuito alla contrattazione collettiva alcuna facoltà di intervento integrativo.

Quanto alla forma scritta del termine dettata dall’art. 19, comma 4, d.lgs. n. 81/2015, ancora, il Ministero richiama l’attenzione circa l’intervento di eliminazione della previsione (già contenuta nel testo vigente ante riforma) relativa alla possibilità che il termine risultasse «direttamente o indirettamente».

Attraverso tale intervento, dettato dall’intenzione di offrire maggiore certezza in merito alla sussistenza effettiva di un termine nel contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, chiarisce il Ministero come ad essere esclusa risulti la possibilità di desumere da elementi esterni al contratto la data di scadenza.

Ciononostante, la stessa linea interpretativa ministeriale apre esplicitamente alla possibilità, anche all’interno del nuovo assetto normativo, che il termine del rapporto di lavoro continui a desumersi indirettamente, purché in funzione della specifica motivazione che ha dato luogo all’assunzione.

 

Con riferimento, inoltre, al meccanismo di graduale incremento del contributo addizionale – già previsto in misura pari all’1,4% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali ed applicato ai contratti di lavoro subordinato a tempo determinato dall’art. 2, commi 25-28, legge n. 92/2012 – tracciato per le ipotesi di rinnovo di contratti a termine in misura dello 0,5% ed espressamente escluso per le ipotesi di proroga degli stessi, chiarisce il Ministero come questo abbia natura progressiva, applicandosi per ogni ipotesi di rinnovo.

Ne consegue, a titolo esemplificativo, che al primo rinnovo la misura ordinaria dell’1,4% andrà incrementata dello 0,5%, in tal modo venendosi a determinare la nuova misura del contributo addizionale a cui aggiungere nuovamente un ulteriore incremento dello 0,5% in caso di ulteriore rinnovo.

Il Ministero si sofferma, infine, sulle modifiche apportate alla disciplina delle proroghe e dei rinnovi (art. 21, comma 01, d.lgs. n. 81/2015), specificando in particolare che la proroga presuppone «che restino invariate le ragioni che avevano giustificato inizialmente l’assunzione a termine, fatta eccezione per la necessità di prorogarne la durata entro il termine di scadenza. Pertanto, non è possibile prorogare un contratto a tempo determinato modificandone la motivazione [ossia la causale, n.d.r.], in quanto ciò darebbe luogo ad un nuovo contratto a termine, ricadente nella disciplina del rinnovo, anche se ciò avviene senza soluzione di continuità con il precedente rapporto».

Volendo dare concreto significato a tale indicazione, utile considerare anzitutto come la stessa si collochi immediatamente dopo l’affermazione del principio in ragione del quale le possibilità di proroga rimangono comunque “libere” – e quindi non assoggettate all’obbligo di indicazione delle ragioni causali di cui all’art. 19, comma 1 – purché all’interno dell’arco temporale di dodici mesi.

Proprio all’interno di questo novellato quadro normativo, che resta fermo nei suoi contenuti, si può dunque ritenere che la specificazione ministeriale non sia destinata a valere nelle ipotesi in cui la proroga intervenga su di un contratto nato come “a-causale”, ossia in tutte le ipotesi in cui il contratto di lavoro a tempo determinato sia stato pattuito per una durata inferiore ai dodici mesi, non richiedendo alcuna specificazione delle ragioni addotte all’apposizione del termine.

Nelle diverse ipotesi in cui la proroga intervenga su di un contratto a termine nato con specificazione delle causali di cui all’art. 19, comma 1 (ad esempio perché ab origine pattuito per una durata superiore ai dodici mesi), ovvero a seguito di una proroga già precedentemente pattuita con causale (ad esempio perché il contratto ab origine pattuito per la durata di 11 mesi era già stato prorogato – con indicazione della causale – per ulteriori 2 mesi), secondo la restrittiva impostazione ministeriale sarà invece necessario che la ragione causale addotta resti invariata rispetto alla precedente; ciò a significare – a nostro parere – che appartenga alla stessa “categoria” causale già precedentemente specificata (intendendosi per “categorie” causali le tre elencate in apertura della Circolare in commento: a) esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività; b) esigenze di sostituzione di altri lavoratori; c) esigenze connesse ad incrementi temporanei).

In ragione della stessa impostazione ministeriale, quando la proroga intervenga invece con modificazione delle specificazioni causali addotte, ciò darà luogo ad un vero e proprio nuovo contratto a termine, ricadente ad ogni effetto normativo e contrattuale nella disciplina del rinnovo.

 

Somministrazione di lavoro a tempo determinato

Focalizzando la propria attenzione sulla disciplina della somministrazione di lavoro a tempo determinato, il Ministero richiama in via preliminare l’estensione operata dall’art. 2 del d.l. n. 87/2018, di modifica dell’art. 34, comma 2, d.lgs. n. 81/2015 in ragione del quale, ad oggi, «In caso di assunzione a tempo determinato il rapporto di lavoro tra somministrazione e lavoratore è soggetto alla disciplina di cui al capo III [disciplina dei rapporti a tempo determinato, n.d.r.] con esclusione delle disposizioni di cui agli articoli 21, comma 2, 23 e 24».

Con tale previsione, la riforma estiva ha dunque inteso estendere al rapporto tra l’agenzia di somministrazione ed il lavoratore l’intera disciplina del contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, con esclusione di qualsiasi clausola di compatibilità e con la sola eccezione delle previsioni contenute agli artt. 21, comma 2 (cd. stop&go), 23 (limiti di contingentamento) e 24 (diritto di precedenza).

Nessuna modifica è intervenuta, al contrario, in merito alla disciplina del contratto di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato riportata all’art. 31, comma 1.

 

Proprio per effetto della predetta estensione operata dal d.l. n. 87/2018 delle disposizioni previste per il contratto a termine anche ai rapporti di lavoro a termine instaurati tra somministratore e lavoratore, il rispetto del limite massimo di 24 mesi – ovvero quello diverso fissato dalla contrattazione collettiva – di cui all’art. 19, comma 2, entro il quale è possibile fare ricorso ad uno o più contratti a termine o di somministrazione a termine, secondo il Ministero deve dunque essere valutato non solo con riferimento al rapporto di lavoro che il lavoratore ha avuto con il somministratore, ma anche ai rapporti con il singolo utilizzatore, dovendosi a tal fine considerare sia i periodi svolti con contratto a termine, sia quelli in cui sia stato impiegato in missione con contratto di somministrazione a termine.

La necessità di valutare complessivamente la durata dei predetti rapporti (contratti a tempo determinato o di somministrazione a tempo determinato) ai fini del calcolo del periodo massimo di occupazione rimane comunque vincolata allo svolgimento di mansioni dello stesso livello di inquadramento contrattuale e della stessa categoria legale.

Pertanto, il predetto limite temporale di 24 mesi opera sia in caso di ricorso a contratti a tempo determinato, sia in ipotesi di utilizzo mediante contratti di somministrazione a termine: raggiunto tale limite temporale massimo di “occupazione”, il datore di lavoro non potrà più ricorrere alla somministrazione di lavoro a tempo determinato ovvero a rapporti a termine con lo stesso lavoratore per svolgere mansioni di pari livello contrattuale e della medesima categoria legale.

Le stesse novità introdotte dal d.l. n. 87/2018 portano peraltro anche all’applicazione delle condizioni causali di cui all’art. 19, comma 1, anche nelle ipotesi di somministrazione a termine di durata superiore a 12 mesi, nonché nelle ipotesi di relativa proroga o rinnovo, ma con solo riferimento all’utilizzatore.

Per tale effetto, in buona sostanza, secondo l’interpretazione ministeriale, la riforma ha operato una sostanziale attrazione verso la disciplina dei rinnovi – con riguardo al limite complessivo di 24 mesi ed all’obbligo di specificazione delle causali – di tutte le ipotesi di successione tra somministrazione di lavoro a tempo determinato e contratti di lavoro a termine per lo svolgimento di mansioni appartenenti stesso livello di inquadramento contrattuale e alla stessa categoria legale.

In ragione di tutto quanto sopra, la specificazione di una ragione causale sarà sempre necessaria non solo quando (1) l’utilizzo in somministrazione del lavoratore presso il medesimo datore di lavoro superi il periodo di 12 mesi (non potendo comunque andare oltre i 24 mesi complessivi), ma anche quando (2) ad una precedente somministrazione di lavoro a termine faccia seguito un successivo rapporto di lavoro a termine, e viceversa (purché entro il termine complessivo di 24 mesi, nonché per lo svolgimento di mansioni appartenenti allo stesso livello di inquadramento contrattuale e stessa categoria legale).

Tale assetto interpretativo comporta un’assimilazione sostanziale delle ipotesi di successione tra somministrazione a termine e contratti di lavoro a tempo determinato rispetto alla disciplina dei rinnovi solo con riferimento alla necessaria specificazione della causale di cui all’art. 19, comma 1, nonché ai fini del periodo massimo di occupazione di cui all’art. 19, comma 2, d.lgs. n. 81/2015 e non anche ai fini della disciplina del cd. stop&go e della predetta previsione di incremento del contributo addizionale (su cui, appena il caso di ricordare, rimaniamo in attesa di indicazioni da parte dell’amministrazione previdenziale di riferimento).

Infine, con specifico riferimento ai diversi limiti quantitativi dettati dall’art. 23 e dall’art. 31, comma 2, d.lgs. n. 81/2015, appena il caso di considerare come il Ministero abbia confermato, sia nel primo caso sia nel secondo caso, l’espressa riserva assegnata dalla legge alla contrattazione collettiva, che mantiene dunque ferma la facoltà di individuare percentuali massime di utilizzo differenti rispetto a quelle fissate dalla normativa del 20% e del 30% del numero dei lavoratori a tempo determinato in forza presso l’utilizzatore.

Il limite percentuale del 30% fissato dall’art. 31, comma 2, trova peraltro applicazione per ogni nuova assunzione a termine o in somministrazione operata dal 12 agosto 2018 in poi; qualora, alla predetta data, presso l’utilizzatore sia presente una percentuale di lavoratori, a termine e somministrati a termine con contratti stipulati in data antecedente alla data del 12 agosto 2018 superiore a quello fissato dalla legge, i rapporti in corso potranno continuare fino alla loro iniziale scadenza, ma non sarà possibile effettuare né nuove assunzioni, né proroghe (né, a nostro avviso, rinnovi) fino a quando il datore di lavoro/utilizzatore non rientri entro i nuovi limiti.

 

 

Agenzia delle Entrate: Stop alle deleghe di pagamento di crediti a rischio

(AdE, Provvedimento n. 195385/2018 del 28 agosto 2018; Art. 37, comma 49ter, d.l. n. 223/2006)

 

A decorrere dal 29 ottobre 2018 hanno effetto le disposizioni introdotte con Provvedimento n. 195385/2018 del 28 agosto 2018, a mezzo del quale l’Agenzia delle Entrate ha definito i criteri e le modalità per la sospensione dell’esecuzione delle deleghe di pagamento (Mod. F24), che presentano compensazioni con crediti incerti o a rischio (art. 37, comma 49ter, d.l. n. 223/2006, come introdotto dalla Legge di Bilancio 2018).

In particolare si ricorda che il Provvedimento sopra citato ha delineato una specifica Procedura di sospensione, che si può riepilogare nei seguenti passaggi:

  • Per i modelli F24 presentati attraverso i servizi telematici messi a disposizione dall’Agenzia delle entrate, con apposita ricevuta, viene comunicato al soggetto che ha inviato il modello F24 se la delega di pagamento è stata sospesa. Nella medesima ricevuta viene indicata anche la data di fine del periodo di sospensione, che non può essere maggiore di trenta giorni rispetto alla data di invio del modello F24. La sospensione riguarda l’intero contenuto della delega di pagamento.
  • Durante il periodo di sospensione, non viene effettuato l’addebito sul conto indicato nel file telematico dell’eventuale saldo positivo del modello F24 e può essere richiesto l’annullamento della delega di pagamento secondo le ordinarie procedure telematiche messe a disposizione dall’Agenzia delle entrate.
  • Se dopo l’esito alle verifiche effettuate, l’Agenzia delle entrate rileva che il credito non è stato correttamente utilizzato, comunica lo scarto del modello F24 al soggetto che ha inviato il file telematico, tramite apposita ricevuta, indicandone anche la relativa motivazione. Tutti i pagamenti e le compensazioni contenuti nel modello F24 scartato si considerano non eseguiti.

Fermi restando i successivi ordinari controlli sui crediti compensati, se in esito alle verifiche effettuate dall’Agenzia delle entrate, il credito risulta correttamente utilizzato, la delega di pagamento si considera effettuata nella data indicata nel file telematico inviato e:

  • in caso di modello F24 a saldo zero, con apposita ricevuta, l’Agenzia delle entrate comunica al soggetto che ha trasmesso il file telematico l’avvenuto perfezionamento della delega di pagamento;
  • se il modello F24 presenta saldo positivo, l’Agenzia delle entrate invia la richiesta di addebito sul conto indicato nel file telematico, informando il soggetto che ha trasmesso il file.

In assenza di comunicazione di scarto del modello F24 entro il periodo di sospensione, l’operazione si considera effettuata nella data indicata nel file telematico inviato. Durante il periodo di sospensione e prima che siano intervenuti lo scarto o lo sblocco della delega di pagamento, il contribuente può inviare all’Agenzia delle entrate gli elementi informativi ritenuti necessari per la finalizzazione della delega sospesa. Tali elementi sono utilizzati dall’Agenzia delle entrate ai fini del controllo dell’utilizzo del credito compensato.